Che idea di lavoro stiamo raccontando ogni giorno, in quello che facciamo?
Che ruolo hanno le imprese (e il marketing) nel dare forma alla cultura del lavoro?
Possiamo davvero parlare di sostenibilità se ignoriamo le condizioni materiali, psicologiche e relazionali delle persone che lavorano con noi?
Nel dibattito sulla sostenibilità, il lavoro è spesso il grande assente. Mentre negli ultimi anni cresce sempre di più l’attenzione su carbon footprint, supply chain, eco-design e digital sobriety, la dimensione sociale (e in particolare quella lavorativa) rischia di restare in secondo piano. Eppure, il lavoro è il punto di contatto più diretto tra impresa e vita delle persone. Nella maggior parte delle comunicazioni aziendali e dei report ESG, il tema del lavoro rimane confinato al linguaggio tecnico delle risorse umane o a quello, spesso retorico, della cultura d’impresa. Come se fosse un dato di fatto, qualcosa di già assodato, e non un territorio su cui ogni impresa costruisce attivamente (o tradisce) i propri valori.
Il lavoro è il luogo dove la sostenibilità diventa reale, oppure resta retorica.
In questo articolo ci interroghiamo proprio su questo: il legame tra marketing, cultura del lavoro e sostenibilità sociale. Lo faremo a partire da tre convinzioni:
- che il lavoro non sia un costo da contenere, ma un sistema da sostenere;
- che il marketing non sia mai neutro, ma abbia il potere di modellare immaginari e legittimare culture;
- che la sostenibilità sociale non sia un tema etico “in più”, ma una leva strategica per la tenuta, la reputazione e la competitività dell’impresa.
Condivideremo dati, esempi, pratiche reali. E proveremo a rispondere a una domanda che ci accompagna ogni giorno: “Come si costruisce un’impresa che ha davvero cura del lavoro… e non solo della sua immagine?”
Parlare di sostenibilità, infatti, senza affrontare il tema del lavoro significa restituire un’immagine monca di ciò che un’impresa è davvero.
Il lavoro è la struttura profonda su cui poggia ogni organizzazione: lo è nei numeri, ma soprattutto nelle relazioni, nei processi, nelle condizioni materiali delle persone che ogni giorno danno forma al sistema.
La parola “sostenibilità” da sola non basta. Se vogliamo che diventi un concetto reale e trasformativo, dobbiamo rimettere al centro la qualità del lavoro. E per farlo, è necessario che anche il marketing ritrovi la sua responsabilità sociale.
Il lavoro non è un costo da contenere: è un sistema da sostenere
Nel panorama attuale, in cui la transizione digitale ed ecologica occupano il dibattito pubblico e strategico, il lavoro rischia di passare in secondo piano, trattato come una variabile da ottimizzare, piuttosto che come una leva di valore umano e organizzativo.
Eppure, la qualità del lavoro è direttamente collegata alla tenuta e alla credibilità delle imprese. Secondo il Global Reporting Initiative, solo il 36% delle aziende include nei bilanci dati strutturati su sicurezza, benessere e rappresentanza delle persone. Nonostante l’84% dei manager riconosca che l’impatto umano è fondamentale per la sostenibilità di lungo periodo, appena il 21% si sente davvero pronto ad agire.
Questo scarto tra consapevolezza e capacità operativa è il cuore del problema. Finché il lavoro sarà considerato una funzione, e non un campo strategico, ogni narrazione sulla sostenibilità rischia di rimanere una facciata.
Serve un cambio di approccio: non solo ridurre l’impatto ambientale, ma rigenerare il significato, la qualità e la dignità del lavoro.
Il marketing non è neutro: modella cultura, immaginari e possibilità
Ogni messaggio che la nostra impresa costruisce attraverso il marketing contribuisce a definire l’immagine che presenta di sé al mondo. Ma non solo. Definisce anche una visione implicita del lavoro: cosa significa “essere professionali”, che tipo di ruoli sono valorizzati, quali relazioni vengono rese visibili.
Se il marketing promuove continuamente modelli di successo individuale, iper-produttività, competizione, meritocrazia tossica o iper-efficienza, rafforza una cultura che normalizza il sacrificio e la precarietà come prezzo da pagare per “farcela”. Se invece un’impresa sceglie di raccontare anche le zone d’ombra del lavoro (la complessità, le sfide, il bisogno di cura, l’equilibrio tra vita e professione) allora apre uno spazio nuovo, più autentico, più vicino all’esperienza reale delle persone.
Il marketing non è solo uno strumento per generare valore economico: è un dispositivo culturale. E come tale ha il potere (e la responsabilità) di scegliere quali mondi rendere pensabili (e quindi visibili).
Il benessere organizzativo non è un “plus”: è un vantaggio competitivo
Sempre più studi mostrano che la cura del lavoro non è un lusso, ma un asset strategico. Le imprese che investono in benessere organizzativo, sicurezza psicologica, equilibrio vita-lavoro e inclusione hanno performance significativamente più alte.
Secondo Gallup, i team in cui le persone si sentono coinvolte emotivamente registrano fino al 23% di produttività in più, il 21% in più di redditività e tassi di assenteismo inferiori dell’81%.
I dati non lasciano dubbi: un’impresa sana è un’impresa che funziona meglio. Eppure, nonostante questo, le condizioni di lavoro restano spesso insostenibili.
Un’indagine Deloitte mostra che il 74% delle persone si sente costantemente sotto pressione, con carichi emotivi e organizzativi difficili da gestire. Non è un problema individuale: è un sintomo sistemico. Un’organizzazione che non si prende cura del proprio sistema di lavoro mina le proprie stesse fondamenta, e delegittima ogni altra forma di sostenibilità dichiarata.
Il team marketing come laboratorio di sostenibilità sociale
Nel nostro lavoro quotidiano in Mark It, ci chiediamo spesso come rendere il marketing uno spazio coerente con i valori che promuoviamo.
Per questo abbiamo scelto di non limitarci a comunicare in modo etico, ma di ripensare anche il nostro modo di lavorare.
Siamo un team ibrido, che lavora in modalità flessibile, con orari e carichi negoziabili, spazi di ascolto attivo e cura delle relazioni. Creiamo momenti di convivialità e confronto, come gli appuntamenti di Mark Art, in cui arte e dialogo diventano strumenti di coesione.
Questa attenzione non è decorativa: è parte della nostra strategia. Perché sappiamo che solo se il nostro lavoro è sostenibile per chi lo fa, può esserlo anche per chi lo riceve. E a luglio pubblicheremo il nostro primo bilancio di sostenibilità, con l’obiettivo di rendere ancora più trasparente e misurabile questo impegno.
E quindi, cosa possiamo fare?
A parlare di sostenibilità sociale sono ormai in tanti. Ma costruirla davvero significa intervenire sulle scelte quotidiane. Ecco alcune azioni concrete che ogni impresa (anche a partire dal team marketing) può mettere in atto da subito, per rendere il proprio modello organizzativo più umanamente sostenibile:
Azione | Obiettivo |
Rinnova le narrazioni | Passare da messaggi motivazionali generici a storie reali, complesse, umane |
Ascolto strutturato | Aprire spazi reali di dialogo e confronto, che vadano oltre i questionari |
Metrica sociale | Includere KPI legati al benessere, all’equilibrio, alla qualità del lavoro |
Marketing in prima linea | Rendere i team comunicazione modello di coerenza, ascolto e flessibilità |
Queste azioni non richiedono rivoluzioni organizzative, ma scelte intenzionali. E quando vengono portate avanti con continuità, possono cambiare davvero il modo in cui un’organizzazione è percepita dentro e fuori. Perché un’impresa che fa così non si limita a raccontare, ma pratica sostenibilità.
Un’impresa sostenibile è un’impresa che si assume responsabilità sul lavoro
Quindi, cosa rende un’impresa davvero sostenibile? Alla fine di questo articolo possiamo affermare che non si tratta solo di ridurre le emissioni, né limitarsi all’uso di energia rinnovabile o di un design circolare. Questi elementi sono fondamentali, certo, ma da soli non bastano.
Un’impresa può dirsi “sostenibile” quando non sacrifica le persone in nome della performance. Quando progetta modelli di lavoro che rispettano la complessità delle vite. Quando non racconta il sacrificio come virtù, ma la dignità come diritto.
In questo senso, il marketing può essere un acceleratore del cambiamento: perché costruisce immaginari, orienta le scelte, offre possibilità. Ma solo se si assume la responsabilità di farlo in modo consapevole, orizzontale, dialogico e coerente.
Fonti e approfondimenti
- Deloitte Global Human Capital Trends 2023
- Gallup – State of the Global Workplace 2023
- GRI Standards – Social topics
- KPMG Survey of Sustainability Reporting 2022
Vuoi continuare a riflettere su questi temi? Iscriviti alla nostra Mark Letter su LinkedIn per ricevere a luglio il nostro primo report completo sulla sostenibilità sociale nel marketing B2B.
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